giovedì 27 novembre 2003

LE NERINE



Sono le ambasciatrici dell'inverno, le ultime bulbose a fiorire... per tutta l'estate erano un ciuffo verde nell'aiuola, poi con l'accorciarsi delle giornate sono spuntati gli stoloni dei fiori ed infine, a fine novembre, la fioritura.
Sono fiori umili, non hanno la bellezza degli amarillis o l'eleganza dei lilium, ma si accontentano di un angolino all'ombra degli olivi dove vegetare tutto l'anno, in attesa di dischiudersi per rallegrare le corte giornate decembrine.

lunedì 24 novembre 2003

IL MARE D' INVERNO ...


Quello descritto da Ruggeri nella sua bella canzone è un mare triste, bagnato di pioggia, battuto dal vento di tramontana... è il mare che posso vedere oggi dal mio terrazzino sulla spiaggia, c'è pure un cane che corre sulla riva inseguendo qualcosa portato dal vento come nella canzone...
Ma il mare anche in inverno può essere diverso, basta che un po' di alta pressione sul Mediterraneo faccia deviare le perturbazioni atlantiche e il mare può essere questo, come in un'alba d'estate... forse la temperatura è più bassa, ma la spiaggia è deserta, senza gli ombrelloni e le cabine ...

Il sole non è ancora uscito dal mare, le luci di capo Mele e del molo sono ancora accese, il mare è una tavola, immobile... sulla palma gli storni iniziano a stridere, presto si alzeranno in volo e dopo varie evoluzioni faranno un unico stormo con quelli delle altre palme ed eucaliptus e partiranno in volo alla ricerca di oliveti da depredare. 
Sono turisti invernali, giunti qui dal nord a svernare, a rimpizzarsi di olive per rifarsi della fatica del viaggio e per essere pronti a primavera per ripercorrere la strada di casa. 
Il mare d'inverno, è come un film in bianco e nero visto alla TV...cantavano Ruggeri e la Bertè, ma può essere anche un film a colori.

sabato 22 novembre 2003

IL CARRUBO

IL   CARRUBO 
Ormai è una pianta ornamentale, però sino a cinquantanni fa' era un notevole tassello dell'economia agricola dalle nostre parti. E' un grosso albero, originario dell'Asia Minore, da cui si è esteso per coltivazione antichissima a tutto il Mediterraneo, ma solo nelle zone in cui la temperatura invernale difficilmente scenda sotto zero.
Le belle foglie lucide non cadono in inverno e in settembre maturano i frutti e contemporaneamente i fiori, che sono piccoli e verdastri; i frutti, che sono baccelli appiattiti grandi come una banana, sono molto zuccherini e venivano utilizzati per nutrire il bestiame, soprattutto i cavalli che allora trainavano carrozze e tram nelle città.
Ricordo da bambino le ultime carrozze che portavano i turisti e aspettavano sulla piazza della stazione, i cavalli avevano un cappello di paglia con i buchi per le orecchie e un sacchetto di carrube appeso al muso... masticando facevano il pieno, un pieno ecologico anche se poi ne lasciavano gli scarti (biodegradabili...) lungo la strada.
Nella zona dove ho il terreno, i carrubi abbondavano in tutte le scarpate non coltivate ad olivo, ancora adesso ce ne sono molti lungo la strada e nei giardini delle villette. Nel mio terreno sono circa una decina, molto apprezzati dalle caprette per l'ombra che fanno nelle calde giornate estive e per i frutti che cadono con le raffiche di vento in un periodo in cui c'è scarsità d'erba.

Una curiosità: il termine “carato”, cioè l'unità di misura dei preziosi, deriva dall'arabo “quirat”, seme di carrubo, che veniva usato come peso nei bilancini; se ne facevano anche rosari e anche adesso, se leggete gli ingredienti di merendine o gelati, potrete trovare la dicitura: farina di semi di carrubo.

giovedì 13 novembre 2003

RACCOLTA OLIVE



E' stata una stagione strana, una siccità mai vista che ha avuto effetti negativi su tutte le colture, ha fatto seccare molte piante anche nei boschi, ma per l'olivo gli effetti positivi sono stati maggiori di quelli negativi. Il peggiore parassita dell'olivo è la mosca, Dacus Oleae, soprattutto nelle zone costiere dove le miti temperature invernali permettono alle mosche di sopravvivere sino alla primavera.
Queste zone vengono dette dai tecnici “pandacie” cioè favorevoli al Dacus... in anni normali quasi la totalità delle olive presenta danni dai vermetti di detta mosca, a meno di non usare antiparassitari come esteri fosforici o melassa avvelenata... Inutile dire che i miei olivi non vedono simili sostanze da almeno 15 anni, come pure non vedono concimi chimici, unico concime quello che producono e spandono gratis le mie caprette!
Causa la siccità la prima generazione della mosca è stata quasi decimata e le poche mosche sopravissute hanno trovato delle olive raggrinzite e talmente dure da non poter essere forate per deporre le uova. Parecchie olive sono seccate e cadute, soprattutto quelle aggredite dalla prima generazione della mosca. Quelle rimaste sugli alberi, con le pioggie di metà ottobre si sono riprese gonfiandosi d'acqua e di olio, e sono tutte, proprio tutte, senza neanche un vermetto; una cosa quasi incredibile.
Come tutti gli anni, ho radunato il gruppo di amici interessati a farsi una scorta di vero olio extravergine ed abbiamo iniziato la raccolta delle olive, mettendo le reti tese sotto i rami delle piante più grandi e raccogliendo a mano, sempre con l'aiuto di reti, gli alberi più bassi; il tutto con il branco delle caprette pronto ad approfittare dei rami potati e privati delle olive. Grazie anche al forte vento che ha fatto cadere molte olive sulle reti, abbiamo raccolto 250 kg. di belle olive per fare una prima macinata al frantoio.
Il frantoio dove abbiamo portato le olive è di tipo tradizionale, con grosse mole di pietra e pressione a freddo della pasta di olive, stratificata su dischi forati in centro sino a costituire una pila pressata poi sino a 400 kg/cmq. L'olio e l'acqua spremuti dalla pasta di olive vengono poi inviati ad un separatore centrifugo da cui esce un extravergine già pronto per essere consumato... sembra oro liquido, con riflessi verdastri e perlacei, con una opacità che perderà poi col tempo decantandosi.
La resa è stata di 52 kg. di olio, cioè 20,8 kg. ogni 100 kg. di olive, quindi il 20,8%.  Solo chi è amante della buona tavola può capire perchè si dedichi tanto tempo e fatica a curare le piante e poi raccogliere le olive anziché acquistare l'olio in un supermercato...

mercoledì 5 novembre 2003

TI TENGU CARA


Ero una gran bella barca ...
Ricordo con quanta cura il maestro d'ascia che mi ha costruito abbia scelto il legno per il mio dritto di prua, squadrato, robusto, adatto ad infierire il primo colpo all'onda di burrasca.
E quello di poppa, sagomato ad accogliere nel suo cavo le pale liscie dell'elica e a richiudere la ferita del mare aperta dalla prora.
Aveva scelto le centine una ad una, curvate nell'acqua calda, provate e modificate infinite volte sino ad ottenere l'elegante curva dello scafo... poi le tavole, sagomate e curvate a seguire il profilo delle centine, i chiodi ribattuti con cura.
Infine la coperta, e tanta, tanta rifinitura per rendere lo scafo liscio come i fianchi di una bella donna
Il primo incontro col mare è stato nella quiete di un porticciolo, scivolando lentamente sul grasso dei legni.... poi la leggera spinta dei remi ed infine il rumore sordo del diesel e le vibrazioni dell'elica... appena fuori della diga però ho incontrato il mare vero, quelle onde gonfie di maestrale che mi avrebbero accompagnato per tutta la vita, con le quali avrei combattuto e vinto per tanti anni, soprattutto quando carica di reti bagnate e piene di posidonia e pesci cercavo di doppiare il capo dietro cui avrei trovato il mio accogliente porticciolo.
In inverno venivo tirata in secco sullo scalo, la vernice raschiata con cura, soprattutto nella carena dove erano cresciute alghe e balani, poi riverniciata e messa rapidamente in mare per evitare che la secca tramontana aprisse delle fessure nel mio fasciame.
Mi era stato messo il nome TI TENGU CARA, ed io non ho mai tradito il mio padrone, nella buona e nella cattiva sorte come una moglie fedele, affrontando le brezze estive come il gelido maestrale che giunge sin qui dal golfo del Leone... e quanti pesci strappati al mare e finiti qui sulla mia coperta: rosse triglie e aragoste, argentei sgombri, dentici, spigole...
Poi un brutto giorno sono stata tirata in secco, per una normale manutenzione pensavo, invece sono stata abbandonata qui sullo scalo, con lo scafo che pian piano ha iniziato riempirsi di fessure, come le rughe di una vecchia signora... I ragazzini, visto che nessuno li sgridava, hanno iniziato a giocare saltando sul ponte, la pioggia e il sole ardente dell'estate hanno fatto il resto...
Ora sono qua, come mi vedete, una catasta di legno marcio che non ha più nulla della bella barca che ero... qualche giorno si accorgeranno di me nel preparare la legna per il falò di S.Giovanni e allora addio TI TENGU CARA...

sabato 1 novembre 2003

MAREGGIATA



Oggi era una giornata di mareggiata, stamattina c'era pioggia e raffiche di vento, vento caldo da sud-ovest che portava nuvoloni neri carichi di pioggia. In una pausa della pioggia sono andato su nel terreno, c'erano 16° e a parte le raffiche di vento non si stava male. Volevo soprattutto controllare che le reti che avevamo tese sotto gli olivi non avessero avuto danni; era tutto a posto, già molte olive erano cadute nelle reti, le caprette erano dentro i ripari di legno e si vedeva solo qualche muso che sporgeva incuriosito.

Poi il vento ha iniziato a rinforzare, gli olivi si piegavano sotto le raffiche, il mare che prima era solo increspato è diventato una distesa di schiuma bianca strappata alle creste delle onde, onde lunghe e sempre più alte che frangevano rumorosamente sugli scogli sotto di me. L'isola Gallinara sembrava una testugine che arrancava controcorrente, gli spruzzi bianchi arrivavamo a metà dello sperone di roccia della punta Falconara.

Il mare era deserto, non si vedevano né barche da pesca né navi, la tempesta di vento era stata prevista dai bollettini meteo... Ai nostri giorni è abbastanza facile navigare, ci sono porti quasi ovunque, apparati radio per ricevere gli avvisi di burrasca e poter trasmettere chiamate di soccorso.
Ma nell'800 era ben diverso, sulla spiaggia di Alassio c'erano cantieri che costruivano grossi barconi a vela che trasportavano le merci lungo la costa o verso la Sardegna, stoffe che dal Piemonte partivano verso Cagliari, olio e pecorino sardo che invece faceva il viaggio inverso, per finire nei magazzini dei mercanti liguri ed essere venduto nell'entroterra.

E se nella traversata si incappava in una simile tempesta, c'era poco da fare... si scaricava parte del carico a mare, si inchiodavano i boccaporti perchè non fossero strappati dalle onde, si usavano le pompe a mano per vuotare le sentine dall'acqua che riusciva a filtrare dalle tavole del ponte... e poi ci si raccomandava a qualche santo, magari a quello il cui nome era anche quello della barca.

I miei antenati alassini si raccomandavano ai Corpi Santi, un'urna contenente alcune ossa di martiri conservata nella chiesa di S.Caterina... queste reliquie erano state portate di nascosto dalla Sardegna da qualche armatore alassino (un “pacco” di stile partenopeo...) e venivano portate in processione tra i carruggi quando c'erano forti mareggiate... così il mare, dopo uno o due giorni si calmava!
Se si sopravviveva a qualche tempesta, era poi consuetudine far fare degli ex voto, nei vicoli di Genova c'erano artigiani che provvedevano alla bisogna: con le istruzioni del committente dipingevano un quadretto dove sopra il mare in tempesta, in uno squarcio delle nuvole, c'era il Santo che era stato felicemente invocato. Questo ex voto finiva poi in qualche chiesa o nella casa del miracolato...
In questo ex voto, risalente a un mio diretto antenato, c'è scritto: “Nell'anno 1846 addì 12 dicembre il cap.no Antonio Basso confidando nel patrocinio dei Corpi Santi di Alassio andò salvo da terribile procella”.
 
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